Lucera (Luceria), antico abitato apulo, fu insieme a Brindisi uno dei capisaldi della presenza romana in Puglia, città autorizzata a battere moneta e municipio dopo la guerra sociale.
Della sua importanza e grandezza sono testimonianza i mosaici pavimentali e le sculture provenienti dalle domus rinvenute nell’area urbana, ma soprattutto il grande anfiteatro di età augustea, sorto fuori le mura grazie al magistrato del luogo Manlio Vecilio Campo, opera imponente e maestosa di cui si scorgono i riflessi persino in alcune figurine fittili di gladiatori, rinvenute nei corredi delle necropoli, segno della grande popolarità goduta dai giochi che vi si svolgevano.
La Lucera romana – a detta di Cicerone “una delle più fiorenti città d’Italia” – fu distrutta dai Bizantini nel 663 d.C., e nell’alto medioevo, tra distruzioni e ricostruzioni di vario genere, non sorse sempre sullo stesso sito. Sulla base della documentazione esistente alcuni ritengono che, nel secolo XI, essa fosse un insediamento murato esteso solo su una minima parte dell’antico impianto della Luceria romana; altri, invece, che si estendesse sulla spianata del monte Albano, in corrispondenza dell’area in cui vennero costruiti in seguito il palazzo federiciano e la fortezza angioina.
La vera rinascita edilizia della città, rimasta per secoli poco più di un borgo, venne segnata dal trasferimento – voluto da Federico II di Svevia – dei Saraceni ribelli di Sicilia (tra le quindicimila e le ventimila persone), tra il 1224 ed il 1246. Sul monte Albano, l’altura che domina la città attuale, fu costruito un complesso fortificato comprendente il palazzo imperiale, una zecca, caserme e residenze.
A valle, la nuova Lucera (“splendente di minareti e luccicante di moschee”) si andava espandendo verso il “castello”, creando continuità tra questo e la città antica, ma trasformandosi in funzione dei suoi nuovi abitanti, di cui assecondò gli usi e i costumi. Ecco la costruzione di numerose moschee, e l’articolazione labirintica dello spazio urbano di sapore tipicamente islamico, con un complesso sistema di vicoli, sottopassi e corti interne; un tessuto edilizio minuto nel quale spazi privati e spazi pubblici si integrarono perfettamente all’interno della stessa unità insediativa.
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